Ripensando al nostro primo incontro è strano come alcune cose siano fisse e lucide nella mia mente e tante altre appaiano confuse. Ma in realtà non c’è nulla di strano in questo. La nostra memoria procede in questo modo. Abbiamo a volte ricordi chiarissimi di fatti avvenuti in tempi lontanissimi e, nello stesso tempo, dimentichiamo fatti ed eventi assai più vicini nel tempo.
Per esempio, ho ricordi vividissimi di tutto il tragitto da noi compiuto dall’incontro in aeroporto fino all’arrivo nell’appartamento. E’ come se riuscissi a rivedere anche le strade che abbiamo percorso a piedi. E il nostro ingresso nella casa. I primi abbracci, i baci.
E’ scolpita nella mia mente la nostra prima cena, in un modesto ristorante portoghese. I nostri dialoghi, i discorsi fatti. La prima volta che potevamo parlare di tutto guardandoci negli occhi.
E poi il passaggio in un negozietto per comprare alcuni dolcetti e una bottiglia di vino bianco.
Del sesso tra noi ho ricordi a sprazzi. Ne abbiamo fatto molto. In continuazione e senza sosta.
Alcune immagini emergono come fotogrammi stampati di un film.
Rivedo Chiara appena entrati nella camera da letto. Sdraiata, quasi nuda. Io le sfilo il perizoma e le allargo le gambe. La osservo. Completamente nuda davanti a me. E poi mi chino per baciarla lì, in mezzo alle gambe. Ricordo la stupenda sensazione di accarezzare la sua pelle morbida, vellutata. Soprattutto la schiena. E rivedo la mia mano accarezzare ripetutamente, con dolcezza mista a forza, la sua schiena, muovendosi tra le scapole e scendendo lungo tutto il corpo.
Ricordo il nostro saluto e la decisione di Chiara di restare nell’appartamento, senza accompagnarmi fino alla stazione.
Camminavo per quelle strade di un quartiere che non conoscevo ma che mi era diventato familiare in quelle poche ore e pensavo che forse non avrei più rivisto Chiara.
Che quella follia non fosse in alcun modo ripetibile.
In aereo mi sentivo sereno, leggero.
La consapevolezza di aver vissuto un incontro magico si alternava alla lucida considerazione di tutte le oggettive difficoltà nel voler dar seguito a quel rapporto.
Ma oltre a questo, c’era qualcosa di più.
Non sapevo quali fossero le sensazioni vissute da Chiara.
Si, certamente eravamo stati bene. Ero sicuro di essere piaciuto a Chiara come persona. Nel senso che so di essere una persona gradevole, con cui si può parlare e discutere di qualsiasi cosa. Credo di avere un buon senso dell’ironia e di essere di buona compagnia. Alt. Qui mi fermo. Proprio qualche giorno fa Chiara mi ha detto che ho un elevato tasso di ..autostima…
Ma le ero piaciuto fisicamente? Le sue aspettative erano state soddisfatte o si attendava qualcosa di più? Era stata fino in fondo con me perché ciò rappresentava un “disegno ormai prestabilito” o aveva vissuto tutto con autentico piacere? Considerava quell’esperienza una autentica follia non ripetibile o voleva/desiderava altro?
Queste e mille altre domande affollavano la mia mente.
Ma mi sentivo sereno. Io ero stato solo e semplicemente me stesso.
Quindi non avevo nulla da rimproverarmi.
In un certo senso, il problema non era mio.
Se fossi piaciuto o meno a Chiara era una questione che, in quel momento, riguardava solo lei.
Per me la questione era già risolta. Chiara mi piaceva. Già apprezzavo la sua “testa” e ora potevo esprimere il medesimo positivo giudizio per il suo “corpo”. Non conoscevo ancora il suo “cuore”.
Ma al di là di questo, la considerazione che più mi colpì in quei giorni immediatamente successivi al nostro incontro, era rappresentata dalla consapevolezza di essere stato totalmente e naturalmente me stesso. Non avevo finto di essere altro di quello che sono ed ero.
E questa fu una sorpresa per me, ma credo soprattutto per Chiara.
Non è facile, a parole, spiegare queste sensazioni.
Per mesi, io e Chiara, nel nostro rapporto fino a quel momento “virtuale” avevamo cercato, ovviamente, di “conoscerci” meglio. Ma le nostre vite reali erano sempre rimaste sullo sfondo. Certo, parlavamo di noi, delle nostre vite, di lavoro, famiglie, amici…. Ma ciò che più ci attirava e ci coinvolgeva atteneva quasi esclusivamente alla sfera erotico-sessuale. C’era la incontenibile curiosità di Chiara per tutto ciò che riguardava il sesso, il desiderio forte di vivere esperienze nuove, intense, travolgenti. Di vivere sensazioni non ancora provate. Qualcosa che era rimasto sopito dentro di lei, qualcosa che si era affacciato in un momento lontano della sua vita e che si era bruscamente interrotto. Poi la sua vita ordinaria, gli impegni, le responsabilità, avevano avuto il sopravvento.
Ecco, io rappresentavo per Chiara il richiamo a quella dimensione dei sensi che aveva bisogno di essere risvegliata. Per questo, le nostre conversazioni, al telefono, via mail o in chat, spesso ruotavano intorno alla sfera sessuale. Esprimevamo liberamente tutte le nostre fantasie sessuali, ogni desiderio veniva manifestato senza limiti. Non era solo un “gioco” avente la finalità di provocare una reciproca eccitazione (che peraltro puntualmente si verificava) ma rappresentava qualcosa di più profondo.
Era l’esigenza di cercare di capire noi stessi, i nostri più reconditi desideri. E anche di comprendere quali limiti avevamo e quanto e come eravamo in grado di superarli. E Chiara mostrava un desiderio incontenibile di “essere all’altezza”, di riuscire a lasciarsi andare senza limiti.
Certo, avevano un peso le reciproche insoddisfazioni, sul piano sessuale, delle nostre vite personali. Ma il nostro “percorso” voleva essere autenticamente originale e unico.
E in questo nostro continuo confronto ciascuno dei due spingeva l’altro. Allora, non mi era ancora ben chiaro il desidero, più volte manifestato di Chiara, di voler essere la “più brava”, “la migliore”.
Lo avrei capito in seguito.
Non si trattava, ovviamente, di mere performance sessuali. Ma del desiderio del desiderio, del coinvolgimento cerebrale totale e senza limiti, della capacità di essere in grado di superare ogni barriera, ogni limite comunemente considerato.
Prenderci e devastarci completamente la testa. Questo ci interessava e desideravamo.
Ed era inevitabile tentare di vivere in noi, e nel nostro nascente rapporto, ruoli che ancora dovevano trovare una definizione. Tanto Chiara aveva (e ha) un carattere forte e determinato e tanto desiderava essere dominata e sottomessa. Tanto Chiara voleva essere da me guidata e diretta e tanto, nello stesso tempo, proponeva, spingeva, stimolava.
In quel nostro primo incontro, quei due giorni trascorsi a Londra, non avevamo fatto quasi nulla di tutto ciò che avevamo per mesi immaginato e fantasticato.
Sono ben consapevole delle comprensibili motivazioni. Di fatto eravamo due persone che si incontravano per la prima volta, totalmente sconosciuti, l’uno dall’altro, da un punto di vista “fisico”. Mancava la “confidenza” dei corpi.
E, comunque, i miei timori/perplessità nascevano proprio da questo.
Chiara aveva desiderato/sognato/fantasticato un certo tipo di incontro.
E forse non ero stato “all’altezza” delle sue aspettative. Ma, nello stesso tempo, mi chiedevo… perché ero stato così, perché mi ero comportato in quel modo ?
Rispondeva il mio cuore, non la mia testa. Ero stato me stesso.
Ma non me ne rendevo conto, allora.
Tutti i dubbi e le perplessità (che forse solo ora razionalizzo, stante il tempo trascorso) furono fugati nel volgere di pochi giorni.
Quel folle incontro non sarebbe stato un episodio unico. Chiara non solo voleva rivedermi, ma aveva già pianificato, con il suo unico e incontenibile entusiasmo, altri incontri per i mesi successivi. Inventandosi di tutto e di più.
E in quei giorni, dopo un certo “disorientamento” iniziale, parlammo molto del nostro primo incontro.
Ma non penso di aver detto a Chiara tutto ciò che avevo provato. Forse anche perché non mi era totalmente chiaro.
Certamente avevo voglia di rivederla. Di fare nuovamente sesso con lei. Il suo corpo era magicamente accogliente e disponibile. La sua “testa” mi intrigava.
Al suo cuore, e al mio, ancora non pensavo.